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  • Immagine del redattoreGiglio Reduzzi

Come scelgono i ministri

Aggiornamento: 9 feb 2021

Sto leggendo il libro di Paolo Ferri (“Il cacciatore di comete”) che descrive il lungo viaggio della sonda spaziale “Rosetta” verso una cometa dal nome impronunciabile (Churyumov-Gerasimenko) e dalla forma insolita (una specie di arachide), nonché il trasferimento sulla medesima cometa del lander trasportato a fini di ricerca scientifica (il “ Philae”).

La “strana” cometa è quella che, a causa per l’appunto del nome impossibile, ci limiteremo a chiamare con il codice di “67P”.

In realtà in un primo tempo era stato progettato che la sonda raggiungesse la cometa “Wirtanen”, ma poi, in corso d’opera, si optò per l’altra.

Ferri ha potuto scrivere questo libro perché ha fatto parte, in posizione apicale, del team che ha progettato e realizzato la storica impresa, anche se, durante la missione, essendo stato promosso ad altro e maggior incarico, gli fu affiancato un altro italiano, il valente Andrea Accomazzo.

Non ricordo cosa mi abbia spinto a leggere questo libro, dato che non sono appassionato di astronautica.

Anzi ho sempre ritenuto, nella mia grettezza, che mandare oggetti in giro per lo spazio non fosse il modo migliore di spendere i soldi delle tasse.

(L’operazione “Rosetta” è costata oltre un miliardo di euro).

Benchè il libro sia ben scritto e la lettura appassionante, il mio umore non è cambiato, anzi, in un certo senso, è peggiorato e vi spiego il perché.

L’impresa è stata progettata e realizzata da una sezione (ESOC) dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

A dirigere la missione fu chiamato Manfred Warhaut, perché aveva accumulato notevole esperienza nella precedente missione Cluster.

Il sig. Warhaut a sua volta elesse a suo vice Paolo Ferri (l’autore del libro), per il fatto che era stato il suo braccio destro nella predetta missione.

Per organizzare il sofware di controllo chiamò Erik Sprensen, perché era ritenuto il miglior specialista europeo del settore.

Per la dinamica di volo il sig. Warhaut scelse Jürgen Fertig, per il ruolo che lo stesso aveva svolto nelle precedenti missioni Giotto e Ulysses.

Infine, per i sistemi a radio frequenza fu chiamato Enrico Vassallo, per l’esperienza che aveva acquisito nel programma Cluster.

Come vedete, nessuno di loro fu scelto per progettare ed implementare la missione Rosetta perché raccomandato dal ministro del suo Paese o perché iscritto ad un determinato partito politico.

Tutti furono selezionati sulla base dell’esperienza acquisita in precedenza.

Ebbene, confrontate questo criterio di scelta con quello adottato dal Premier Giuseppe Conte (ed avallato da Sergio Mattarella) per nominare i ministri del suo governo e non avrete difficoltà a comprendere perché il mio umore iniziale non sia cambiato.

Quale esperienza poteva vantare l’attuale Ministro degli Esteri al momento di ricevere la nomina?

Quali rapporti aveva intessuto all’estero?

Quali italiani aveva tratto da ingiuste detenzioni prima di Silvia Romano?

E che dire degli altri ministri, tipo Toninelli, Bonafede ed Azzolina?

Come vedete, il mio stato d’animo è pienamente giustificato.

Più penso, da un lato, agli autori di questa storica impresa e, dall’altro, ai ministri di questo governo e più mi cadono le braccia.

Per il resto, continuo, come prima, a pensare che questi astrofisici siano persone molto fortunate.

Avranno pure lavorato sodo per conquistare quelle posizioni, ma poi hanno avuto le loro belle soddisfazioni.

Soddisfazioni paragonabili a quelle che devono aver provato Neil Amstrong (quando ha messo piede sulla Luna) e Howard Carter (quando è entrato nella tomba di Tutankhamon).

E che certo non appartengono al mondo di noi comuni mortali.

Infatti la loro emozione nel veder “atterrare” il lander Philae sul nucleo centrale della cometa (12 novembre 2014) era stata preceduta da tutte quelle vissute prima, e che, data l’incredibile durata della missione (oltre 12 anni), furono numerose.

Mi riferisco, in particolare, alle emozioni che il team di responsabili deve aver provato in occasione de:

  • il lancio del razzo (Ariane 5) usato per trasportare Rosetta e depositarla nel posto giusto (2 marzo 2004)

  • il sorvolo della parte nascosta di Marte e uscita dai 24 minuti di blackout (25 luglio 2007)

  • il sorvolo dell’asteroide Stein (settembre 2008)

  • il sorvolo dell’asteroide Lutetia (luglio 2010)

  • l’uscita della sonda dallo stato di ibernazione (20 gennaio 2014)

  • la ricezione delle prime immagini fotografiche della cometa

  • lo sgancio del lander (12 novembre 2014).


Mi limito a far osservare che molto probabilmente l’emozione provata dal team all’uscita di Rosetta dallo stato di ibernazione ( il risveglio) fu addirittura maggiore di quella vissuta al momento in cui la sonda, completando la missione, raggiunse la cometa, e ciò in forza del fatto che il letargo era durato ben due anni e sette mesi, durante i quali nulla si sapeva (né si poteva sapere) della sonda.

Benchè io non abbia alcuna intenzione di riassumere qui lo svolgimento dell’impresa, avendo voluto sottolineare l’importanza della fase di “ibernazione”, mi corre l’obbligo di ricordare (a chi, come me, fosse digiuno di astronomia) che l’idea di ibernare la sonda nasceva dalla necessità di mantenerla viva durante tutto il tempo in cui essa sarebbe stata così distante dal sole da impedire ai suoi pannelli solari di ricevere alcuna energia. (In un certo senso: meglio dormiente che morta.)

Infatti, benchè, nel suo percorso ellittico attorno al sole, alla cometa 67P capiti a volte di trovarsi a soli 650 milioni di km dal Sole, la sonda Rosetta, per incontrarla, ha dovuto spingersi fino alla distanza di un miliardo di km dalla nostra stella (distanza massima), e ciò al fine di sfruttare l’effetto “fionda gravitazionale” offerto dal Sole.

Così come credo abbia sfruttato per ben tre volte quello fornito dalla Terra.

Se non vado errato è la prima volta che l’uomo manda un oggetto così lontano e lo recupera.

Annotazioni finali:

  • la distanza Terra /Cometa 67P si percepisce meglio se, anziché in km (circa 511 milioni), essa viene espressa in minuti luce, che son ben 28, contro gli 8 della distanza Terra/Sole ed i 3 di quella Terra/Marte;

  • queste enormi distanze lasciano poco da sperare circa le missioni che alcune agenzie spaziali hanno in animo di effettuare anche dentro il sistema solare, magari con uomini a bordo.

Di quelle dirette ad altre stelle (dove le distanze in gioco, non sono di minuti-luce, ma di anni-luce) non ne parliamo proprio.

Anche se gli addetti al lavoro trarrebbero un immenso piacere già al momento di progettarle, ritengo che prima di colonizzare Marte occorra rendere produttivo il Sahara.

Come ho già detto in altra occasione.

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