Giglio Reduzzi
Perchè le aziende scappano
Dato che questo è il Paese più bello del mondo, credo che gli imprenditori, specialmente se stranieri, sarebbero felici di tenere qui le loro aziende, se solo vi trovassero un minimo di convenienza per farlo.
Vuoi mettere la differenza tra il sole di Varazze e quello di Cracovia!
Propense a lasciare l’Italia sono in primo luogo le imprese estere, perché per esse non vale neppure quell’ amor patrio del quale spesso manchiamo anche noi (per esempio la FIAT non ce l’ha) e che, quando c’è, costituisce l’unica forza che le tiene qui.
La realtà è che il nostro Paese non è adatto ad impiantarci un’impresa.
(In realtà è difficile dire per cosa sia adatto.)
Le relazioni tra Stato ed imprenditori sono ancora del tipo “homo homini lupus”, come erano nell’immediato dopoguerra, quando la minaccia comunista costringeva il Parlamento a sfornare una legislazione tutta spostata a favore del lavoratore.
E difatti, grazie all’art. 18, l’impresa non poteva mai licenziare. Poteva solo assumere.
E spesso era tenuta a farlo scegliendo il personale indipendentemente dal merito individuale e dal fabbisogno aziendale (Alitalia).
Ora la minaccia comunista è scomparsa, e così l’art.18, ma la mentalità soggiacente è rimasta. (Pensate al Ministro Orlando.)
Salvo che si tratti di aziende artigianali, lavoratore e datore di lavoro rimangono l’un contro l’altro armati.
Purtroppo l’attitudine anti-impresa è penetrata -ed ahimè è rimasta- soprattutto nello Stato, dove operano coloro cui spetta tenere sotto stretta sorveglianza le imprese.
Non è raro che un dipendente, licenziato dall’azienda, venga fatto riassumere da un giudice.
Inoltre questi controllori di imprese provengono in larga parte da aree geografiche diverse da quelle dove sorgono le aziende da sorvegliare.
Ne consegue che essi si trovano a dover giocare costantemente in trasferta ed hanno scarsa affinità culturale con gli imprenditori.
Non è un caso che questi ultimi invochino, da tempo ed a gran voce, un minimo di autonomia amministrativa.