Giglio Reduzzi
Flat Tax
Aggiornamento: 25 giu 2018
La flat tax non è un costo, ma se mai una scommessa.
Essa configura un costo solo in condizioni di ceteris paribus.
Cioè immaginando che, una volta introdotta, tutto rimanga uguale a prima.
Uguali i consumi, uguale la ricchezza prodotta, uguale l’evasione.
Se invece si presume (come è ragionevole fare), che al calare delle imposte, aumentino i consumi (e, dopo un po’ i beni prodotti) e diminuisca l’evasione, allora la flat tax non è più un costo, ma una scommessa.
Peraltro equilibrata, perché è sensato ritenere che, al diminuire delle tasse, corrisponda un aumento della propensione a spendere (e produrre) ed un calo dell’evasione.
Se ne avvantaggiano i ricchi? Pazienza: l’importante è che se ne traggano beneficio anche i poveri.
Una cosa è certa: che la ricetta sinora adottata (tasse alte e differenziate) non funziona, perché il Paese, anno dopo anno, continua ad indebitarsi.
Dunque siamo di fronte a due ricette: una che siamo sicuri che non funziona ed una (la flat tax) che potrebbe funzionare.
Proviamola!
Solo chi vorrebbe veder piangere i ricchi non sarà mai d’accordo.
Purtroppo i benefici della flat tax hanno il difetto di non manifestarsi compiutamente nell’ immediato, perché le fabbriche, per produrre di più, hanno bisogno di un po’ di tempo.
Di conseguenza è pressoché certo che, nel primo anno di applicazione della riforma fiscale, il nostro Paese non sarà in grado di rispettare i vincoli europei.
Ma questo problema, lungi dal preoccuparci, dovrebbe indurre tutti i membri dell’UE a riflettere sull’opportunità o meno, anche in presenza di importanti riforme, di misurare la virtuosità di un Paese anno per anno, invece che, poniamo, ogni tre anni.
Ed a fare un’analoga riflessione anche sulla ragionevolezza di far quadrare i conti nel-
l’ arco temporale di soli dodici mesi.
Visto che, non solo riforme fiscali di questa portata, ma anche semplici investimenti produttivi spesso richiedono più di un anno solare per essere portati a termine.