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  • Immagine del redattoreGiglio Reduzzi

Il "refugium peccatorum" della P.A.

Quando ero piccolo, non era infrequente che, avendo in casa un figlio “lazzarone” (cioè con scarsa propensione sia allo studio che al lavoro), i suoi genitori implorassero mio padre, allora amministratore comunale, di assumerlo in Municipio, implicitamente confessando di ritenere l’impiego pubblico come una specie di refugium peccatorum.

Ecco: io crescevo nella convinzione che lavorare per lo Stato fosse più un ripiego che un impiego.

Né ero il solo ad avere questa opinione.

Essa era piuttosto diffusa qui al Nord e difatti un posto di lavoro alla Dalmine o all’Italcementi era ritenuto assai più prestigioso di quello di impiegato all’Anagrafe comunale.

Poi, cresciuto e venuto in contatto con studenti di altre regioni, ho scoperto che non tutti in Italia la pensavano alla stessa maniera.

Anzi ho appreso che in tutto il meridione i ragazzi venivano educati proprio per ottenere un posto nella pubblica amministrazione, dato che una occupazione in questo settore era ritenuta superiore a qualsiasi attività svolta alle dipendenze di un privato cittadino.

Non è un caso che, ancora ora, se l’annuncio di un posto vacante viene da un imprenditore veneto, nessuno gli risponde, mentre, se viene dal suo municipio, migliaia di ragazzi accorrono da tutta Italia, mettendo sul piatto esorbitanti titoli di studio.

A raccontare questa realtà in America nessuno ci crede.

Loro sono abituati, anche negli enti pubblici, ad assumere personale in base alla competenza, non ai titoli di studio, cui non avviene attribuito alcun valore legale.

In Italia no.

Lo stesso Antonio Conte è figlio della nostra distorta mentalità e difatti nella sua compagine di governo non troviamo nessuno che nella vita si sia limitato (secondo lui) a produrre frigoriferi o lavatrici.

E’ tipico di questo modo di pensare (che pone la P.A. al primo posto assoluto) ritenere, per esempio, che il cittadino non debba conoscere come vengono spesi i soldi delle tasse.

Che il governo non sia tenuto a rendere noto quali ditte abbiano vinto la gara indetta per la fornitura dei banchi di scuola.

Né quale ne sia il prezzo e le altre condizioni.

Della famosa formula (in base alla quale il governo ha diviso in fasce colorate l’Italia pandemica) si sa solo che è composta da 21 parametri, ma nessuno sa quale peso il governo attribuisca ai singoli parametri.

Il cittadino non ha diritto di saperlo. Deve fidarsi del governo.

Anche se i ministri che lo compongono non hanno mai amministrato, non dico una fabbrica di lavatrici, ma neppure un condominio. (Copyright di Carlo Calenda.)

Frutto della mentalità di cui sopra è anche il silenzio che molti pubblici amministratori (quasi tutti) oppongono alle domande dei giornalisti, volte a conoscere l’uso che fanno dei nostri soldi.

Quasi si trattasse di domande indiscrete che riguardano la loro vita privata.

Ecco: il discrimine che separa gli stati veramente democratici da quelli che lo sono solo a parole sta proprio qua.

Fintanto che un pubblico amministratore dimentica di essere un civil servant al servizio del cittadino ed anzi ritiene di stare un gradino più sopra, lo Stato per cui opera non può dirsi democratico.

Democratico è solo lo Stato che tratta i suoi cittadini da pari a pari e spiega loro come impiega i loro soldi senza aspettare che glielo chiedano.

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