Giglio Reduzzi
Incompatibilità culturale
Aggiornamento: 14 mar 2019
Ho notato che, quando si parla della necessità di regolare i flussi migratori verso il nostro Paese, c’è una forte riluttanza a fare delle cifre, nell’evidente timore di passare per xenofobi.
Eppure il limite c’è ed è addirittura doppio.
Infatti, oltre al limite quantitativo, ne esiste uno di carattere qualitativo e consiste nella incompatibilità culturale.
Che è quella cosa per cui, mentre la generalità degli europei trova giusto aprire scuole e scavare pozzi in territorio Masai, a nessun europeo verrebbe mai in mente di portarsi a casa un Masai.
(Specie dopo aver visto cosa usano come brillantina e come intonaco per le capanne.)
Coloro che costringono gli italiani a convivere con persone portatrici di culture tanto diverse dalla nostra (e non certo per colpa loro) o non conoscono queste culture oppure nutrono un profondo disprezzo per la nostra.
Ecco perché, salvo i rappresentanti pro-tempore della Chiesa cattolica, si va facendo strada, anche a livello governativo, l’idea (una volta considerata eversiva) dell’”aiutiamoli a casa loro”.
Questa non è xenofobia, detta anche razzismo.
Razzisti potevano definirsi gli americani quando, ai tempi di Caruso, criticavano gli italiani per il fatto che, anziché lavarsi i capelli, si impomatavano la testa con la brillantina.
Ma certo non avrebbero potuto definirsi tali se gli italiani, al posto della brillantina, avessero usato la cacca delle mucche, come fanno tuttora i Masai.