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  • Immagine del redattoreGiglio Reduzzi

Le scuse del Presidente

Aggiornamento: 23 mag 2018

Ormai è chiaro a tutti che Sergio Mattarella, stante la sua antipatia per Matteo Salvini, abbia cercato ogni scusa per non affidargli quell'incarico di formare il nuovo governo che pure gli spettava.

Infatti non sta scritto da nessuna parte che il Capo dello Stato debba conferire il mandato solo a chi sia in grado di assicurargli da subito che il Parlamento gli voterà la fiducia.

Se così fosse, la nomina sarebbe un atto dovuto e tutti sarebbero capaci di fare il Presidente della Repubblica.

Solo il conferimento dell’incarico a persona diversa dal vincitore giustifica la (costosa) presenza di un Presidente della Repubblica.

Peraltro, nel nostro caso, mancando un trionfatore netto, bastava il buon senso per capire che l’incarico andava dato a chi maggiormente si avvicinava a questo traguardo e, dunque, a Salvini.

Egli infatti, pur non avendo tutti i voti necessari, in quanto rappresentante dell'intero CD, ne aveva più di chiunque altro, Di Maio compreso.

Certamente ne aveva più della persona cui Mattarella minacciava di affidare la formazione del suo governo “neutro”, che i voti avrebbe dovuto cercarseli uno ad uno, partendo da zero.

Con l’ulteriore complicazione che, mentre il fallimento di Salvini in Parlamento sarebbe stato l’insuccesso del solo Salvini, il fallimento del premier “neutro” voluto dal Presidente, sarebbe stato l’insuccesso del Capo dello Stato.

Una bella differenza.

Purtroppo anche la lentezza con cui Mattarella ha condotto il dopo partita è sembrata far parte delle summenzionate scuse.

Il risultato è stato che Salvini, che è fatto di un’altra pasta, dopo aver compiuto un blitz per attivare il Parlamento, ne ha dovuto fare un altro, molto più spericolato, per tentare di avviare un governo in condominio con una componente politica diversa, se non ostile, e che, proprio per questo, non avrà vita facile, se l'avrà.

Nel frattempo si è anche capito perché Mattarella non si fidava di Salvini: non ne condivideva (e non ne condivide) le posizioni in materia di Europa.

Secondo lui l’Italia deve continuare a subire i diktat di Bruxelles, quale che sia l’interesse del nostro Paese.

In pratica ha avocato a sé la politica estera.

Esattamente come fece il suo predecessore, Giorgio Napolitano.

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