Giglio Reduzzi
Teologia di strada
Aggiornamento: 18 feb 2020
Ho trovato molto utile la lettura dell’ultimo libro del teologo Radaelli (Street theology), perché anch’io, come molti altri, ho sempre pensato, che solo con Papa Bergoglio fosse avvenuto il grande cambio di paradigma di cui si parla.
Invece, secondo Radaelli (di cui so solo che è lombardo, anche se porta lo stesso cognome di mia madre), il cambio sarebbe avvenuto già prima, con Papa Roncalli, cui egli attribuisce anche il desiderio di aver voluto piacere più agli uomini che a Dio e, quindi, almeno su questo punto, di essere molto simile a Papa Francesco.
Avendo avuto il singolare privilegio di conoscere da vicino papa Roncalli (che sposò i miei genitori), la sua numerosa famiglia secundum sanguinem ed il suo segretario particolare (card. Loris Capovilla), io non sono dello stesso avviso.
Del resto le critiche di Radaelli non si riferiscono tanto alla figura di papa Giovanni in sé quanto al Concilio che egli indisse e che, a detta di Radaelli, avrebbe dato la stura a tutta una serie di problemi successivi.
Ma a me non risulta che papa Giovanni abbia mai interferito nei lavori del Concilio Vaticano II al punto da determinarne, o anche solo influenzarne, i risultati.
Non ne ebbe neppure il tempo.
Dunque, se mai, sono i padri conciliari ad aver compiuto degli errori.
In ogni caso io continuo a pensare che la vera svolta sia avvenuta soltanto con l’attuale Pontefice e neppure nell’immediatezza della sua elezione, ma dopo qualche mese.
A sentire Radaelli invece, questa svolta era già avvenuta prima.
Secondo lui anche Ratzinger è stato un "novatore".
Il che probabilmente è vero, ma solo, a mio avviso, se si pensa al Ratzinger di Tubinga, cioè al giovane professore piuttosto che all'anziano Pontefice.
A Ratzinger il nostro teologo rimprovera anche di aver scisso l’inscindibile, cioè aver diviso il monolitico munus petrino in servizio passivo e servizio attivo, tenendo per sé il primo e abbandonando l’altro.
In altre parole tenendo per sé il ruolo contemplativo, altrimenti detto “giovanneo” e lasciando al suo successore quello più propriamente “petrino”.
Io non so se Radaelli abbia ragione, ma avendo visto le profonde novità che papa Francesco ha introdotto, o tentato di introdurre, nella Chiesa, rimango dell’idea che il discrimine tra tradizione ed innovazione debba essere posto, non tra prima e dopo il Concilio Vaticano II (come sostiene Radaelli), ma tra papa Ratzinger e Papa Bergoglio.
Per la medesima ragione ritengo che aver spaccato in due il Ministero petrino, per inedito che possa essere, sia stato provvidenziale ai fini di ristabilire l'equilibrio.
Un’altra critica che Radaelli muove all’attuale Pontefice (e che invece mi trova del tutto consenziente) è quella di operare esclusivamente attraverso la via “pastorale” e mai attraverso la più impegnativa via “dottrinale”.
Segno evidente che anche lui non è tanto sicuro di quel che sta facendo e lo fa solo per attirarsi le simpatie del mondo moderno.